Da sempre, l’uso di sostanze psicoattive e la ricerca di stati alterati di coscienza fanno parte della vita delle persone. Le persone usano sostanze per le ragioni più diverse, in molteplici modi e contesti: accettare questo dato di realtà è il primo passo per superare l’approccio della fallimentare e dannosa guerra alle droghe che viene combattuta da cinquant’anni. Una guerra che, nei fatti, più che contro le droghe va contro le persone che usano droghe, inserendole in un circuito di stigma, esclusione e condanna spesso più dannoso delle sostanze stesse.
In quanto parte della realtà, anche l’uso di sostanze -a partire dall’alcool- è soggetto alle dinamiche del mondo capitalista e patriarcale in cui viviamo, che influenzano le relazioni tra le persone e il modo di vivere gli spazi. Partendo da questa consapevolezza, rivendichiamo l’importanza di creare spazi sicuri e diffondere una cultura della riduzione del danno, per rispondere con supporto reciproco e autodeterminazione al profitto e all’individualismo.
Ma cos’è la riduzione del danno? La riduzione del danno (rdd) è un insieme di pratiche e approcci che mirano a limitare i rischi e ridurre i danni legati all’uso di sostanze. Rdd è creare spazi di ascolto e confronto non giudicanti per chi usa sostanze, è non subordinare il diritto alla salute ad astinenza e repressione, diffondere informazioni scientificamente accurate sulle sostanze e la loro farmacodinamica. È, in sintesi, comprendere che l’uso di sostanze è un fenomeno complesso che interagisce con il genere, la provenienza geografica, la condizione economica e altre caratteristiche individuali e del contesto, e che il proibizionismo non è mai stato una risposta né valida né efficace.
Alcuni esempi di pratiche di riduzione del danno:
- Area chillout: nell’ambito di un party, uno spazio separato dalla musica e dalla folla, dove può stare chiunque voglia prendersi una pausa, non si senta bene o necessiti di un qualsiasi tipo di supporto.
- Distribuzione materiale di profilassi primaria: diffusione di materiale (siringhe sterili, stagnola atossica, altro materiale di consumo monouso e personale) per prevenire il diffondersi di malattie infettive e rendere l’uso meno dannoso, accompagnata dall’informazione su pratiche di safer use e sui rischi e i danni associati.
- Drug checking: in quanto prodotto di un circuito non regolamentato, non si può mai sapere cosa contenga davvero una certa sostanza, non solo per via dei tagli. Il drug checking consiste quindi nell’analisi delle sostanze tramite reagenti o altri strumenti di laboratorio (spettrometri, gascromatografi) che sono in grado di determinare l’effettiva natura del campione e/o la sua concentrazione, permettendo così di individuare eventuali tagli o molecole nuove/non previste.
Tutte queste pratiche, che nascono anche dalle competenze e dalle esperienze dirette delle persone che usano sostanze, sono state studiate a fondo in ambito scientifico e si sono dimostrate efficaci nel tutelare la salute delle persone. Riducono l’incidenza di infezioni, di overdose, allungando gli anni di vita in salute, favorendo stabilmente scelte di consumo meno rischiose/dannose e supportando il benessere delle persone che assumono sostanze in ogni fase della storia di vita e di uso. Sono quindi pratiche efficaci di promozione della salute e non, come talvolta si sente dire, tentativi di negare l’esistenza di rischi, danni e usi problematici.